Chi siamo
Se vogliamo uscire dal ghetto dobbiamo mettere al centro il tema lavoro. Perché è il lavoro che unisce quello che il mondo grande e terribile separa. È il lavoro che restituisce la dignità che la frontiera toglie. Il lavoro è un tema che intreccia da sempre la migrazione e i confini. Ed è uno spazio di tensione, di ricatto e solidarietà, tra chi sfrutta ed è sfruttato, tra lavoratori autoctoni e lavoratori mobili. La Calabria è terra di emigrazione e di immigrazione, c’è chi parte da sempre e chi arriva da poco. In questa terra abbiamo deciso di creare questo festival “sgarrupato” in cui si parla di lavoro, dove il primo premio è una cassa di arance senza sfruttamento. Un festival in cui lo sguardo della giuria sarà quello dei braccianti. Lo sguardo della parte più sfruttata della catena del valore. Questo sguardo preso dai lavoratori braccianti, da chi ha vissuto il ghetto, il ricatto e lo sfruttamento ci mette tutti in gioco fino in fondo. Costringe a subire le conseguenze di una nuova visione. Imprevedibili conseguenze che possono mostrarci quanto ancora di coloniale ci sia nella cultura dell’Occidente. In quella che accoglie degradando, come in quella che respinge spaventando.
Predisporci alla visione che ci offre questo spazio vuol dire uscire fuori dal ghetto. Insieme. Vuol dire lavorare insieme per ridefinire le etichette tra chi siamo noi e chi sono loro. Vuol dire superare quelle retoriche che mettono nelle solite caselle il territorio della piana di Gioia Tauro e i soggetti che lo attraversano. Questo festival altro non è che un laboratorio per uscirne insieme, che lega la voglia di riscatto di chi vuole dimostrare che è possibile costruire pratiche di solidarietà e filiere senza sfruttamento e la voglia di riscatto di chi ha la frontiera cucita addosso.
Il bracciante è sempre stato utilizzato per qualcosa e mai ascoltato. È filmato, intervistato, esposto. Venduto. Se a Lampedusa c’è la pornografia del dolore a Rosarno c’è la pornografia dello sfruttamento.
Questo sguardo parlerà di un mondo in cui solo i ricchi volano sopra le frontiere, ma ci dirà perché si è costretti a partire dalla propria terra, porterà a chiedere conto delle responsabilità occidentali sulle terre dell’Africa e del perché un giovane calabrese sia costretto a emigrare come hanno fatto i propri padri e nonni. Ci parlerà del perché oggi ci si ribella alle telecamere che estraggono valore nel mostrare la vulnerabilità senza che mai nulla cambi. Questo sguardo, obbligherà molti mondi a domandarsi, a riflettere, a guardarsi dentro.
Quando abbiamo pensato a questo festival ci eravamo detti che volevamo ribaltare i significati. In questi giorni costruendolo insieme, abbiamo capito che abbiamo tra le mani qualcosa di incandescente. Anzi, che i braccianti hanno in mano qualcosa di incandescente. Uno sguardo più che una voce. Uno sguardo che noi che abbiamo una casa, una famiglia, una cittadinanza non possiamo avere, perché non viviamo la loro condizione. Uno sguardo che ci può aiutare però a capire molte cose che oggi non vediamo. Una visione necessaria, se vogliamo per davvero uscire dalla logica dei ghetti attuali e combattere quelli che verranno.
(Francesco Piobbichi)